martedì 17 giugno 2008

La Morte a Levante



Quella Giapponese è decisamente una terra particolare, e il popolo che vi abita è carico di fortissime ambivalenze.
Ha una continuità statuale soprendente, basti pensare che la dinastia attuale, quella del "blasone del crisantemo", è risalente, secondo gli annali del Giappone, al VII secolo a.C.
L'imperatore attuale è il 125° discendente del primo imperatore, Jimmu, a sua volta discendente della kami (dea) Amateratsu, simboleggiante il disco solare.
La continuità della simbologia imperiale è talmente tenace che il Giappone è stato l'unico, tra gli stati sconfitti nella IIGM, a non aver perso il proprio simbolo statuale. Nè il regno d'Italia, nè il reich Tedesco sono ancora esistenti. L'Impero Giapponese sì, e l'imperatore del tempo, Showa, ha continuato a regnare fino alla sua morte, nel 1989, ed il 29 Aprile si festeggia, ancora oggi, il suo compleanno come festa nazionale (lo Showa no hi).
Certo, nel 1946 il Tenno (sovrano celeste) ha pubblicamente (dovuto) sconfessare la propria natura divina, ed abrogare lo shinto di stato, ma la sua simbologia permane forte.

Eppure, nonostante le storiche chiusure, le tradizioni ossificate, il Giappone è lo stato orientale più rapidamente ed efficacemente occidentalizzatosi.
In giappone si utilizza un sillabario, vero e proprio (il katakana) di natura fonetica per trascrivere le parole occidentali, le quali arrivano a rappresentare più del 10% del vocabolario di uso corrente nipponico.
I Giapponesi si sono rapidamente occidentalizzati nei costumi, nei modelli culturali (libri, metodi di conto) hanno importato, abilmente modificando e divenendone maestri alcuni stilemi della comunicazione novecentesca, dal fumetto (Il manga, pur cronologicamente posteriore al comic americano ha assunto nella terra Nipponica una essenza culturale inedita in occidente) alle forme di comunicazione di massa, l'informatica, la musica, l'arte d'avanguardia.

Giappone è diventato simbolo di modernità, il che in un paese incredibilmente legato al tradizionalismo (si pensi che nello shinto gli avi di una determinata famiglia rientrano nei Kami) può essere un fattore stressogeno non indifferente, e coniugare questa modernità al tradizionalismo nei costumi, nei rapporti familiari e sociali è stata una sfida non perduta ma nemmeno vinta dalla società giapponese.
Il cinema di Ozu, maestro degli anni '50, mostra il contrasto tra la modernità e la tradizione che lacera la solida struttura familiare e nazionale giapponese; i lavori e soprattuto la drammatica uscita di scena di Mishima, nel 1970, con un seppuku rituale dopo una orazione contro la costituzione del '47 e per un ritorno al nazionalismo; sono solo due esempi.

Il suicidio dunque come drammatica risposta alla crisi di una società solidamente tradizionalista? La tanto praticata modernità nipponica è allora solo una facciata dietro la quale macera una confusione valoriale pronta a divorare la psiche del giapponese medio?

Il Giappone ha un numero di quasi 30 mila suicidi l'anno su 120 milioni di abitanti, il che equivale ad un tasso (2o suicidi su 100mila abitanti) doppio rispetto a quello statunitense, pari a quasi quattro volte quello italiano, al terzo posto tra i paesi OCSE dopo Corea del Sud ed Ungheria.
Eppure la massa di morti autoinflitte del paese del sol levante non è così fieramente discepola dell'atto di Mishima.



La maggiorparte delle morti per suicidio sono amplificazioni di problemi esistenti in qualsiasi società occidentale, iperbolizzate dalla presenza di un nucleo storico valoriale e esistenziale tipicamente nipponico.

I giapponesi hanno un termine "karoushi"per indicare la cosiddetta "morte da superlavoro". L'etica del lavoro giapponese (terra che non ha mai avuto Marx) contempla lavoro straordinario massacrante e spesso non retribuito che prosegue sistematicamente fino a tarda notte, ogni giorno, con un sistema spossante e distruttivo che finisce per spingere alcuni individui al suicidio. Fin dagli anni '80 esistono pene per le aziende colpevoli di trattamenti che spingano al suicidio da superlavoro i propri dipendenti.
Le ore di lavoro, in Giappone, sono circa 2000 annue, mentre per i lavoratori francesi poco più di 1500. Alla fine degli anni '90 le ferie giapponesi ammontavano a 9,4 giorni, quelle francesi 25 giorni.

Durante la crisi economica della fine degli anni '90 il tasso suicidario tornò ad aumentare, dopo una lieve flessione precedente. Padri di famiglia di 50 o 60 anni, appena licenziati, vivevano per un periodo una vita da "fantasmi", fingendo di continuare a lavorare, fino a suicidarsi, permettendo alle famiglie di incassare il premio dell'assicurazione sulla vita, che paga anche in caso di suicidio.

Il suicidio non è, infatti, distonico rispetto all'etica nipponica. Tutt'altro.
Circa il 20% della popolazione ha seriamente pensato al suicidio nel corso della propria vita, comprendendo ogni fascia socio-culturale. Il suicidio è tradizionalmente tollerato a livello culturale, e trova riferimenti importanti storico-mitologici (i 47 Ronin di Ako che compiono seppuku dopo aver vendicato il proprio padrone).
Il suicidio è dunque l'onorevole sacrificio del giusto dinanzi a superiori avversità, ma anche l'uscita onorevole dall'onta o dalla vergogna.
Quando Kobe, nella prefettura di Hyogo, venne colpita da un terremoto a metà degli anni novanta, diversi dirigenti di varie società si uccisero a catena per gli errori nella gestione dell'emergenza; compreso il vicesindaco che si diede fuoco un anno dopo.

E nel paese delle innovazioni tecnologiche, non poteva mancare anche il suicidio sul web. Il Giappone è stato apripista anche del fiorire dei blog, dei siti, dei mercati virtuali per aspiranti suicidi, dove scegliere luogo e modalità per il proprio trapasso ed addirittura organizzarsi per effettuarlo contemporaneamente.

Leggere l'alto numero di suicidi nella terra del sol levante solo come una risposta di disorientamento collettivo alla modernizzazione è dunque non risolutivo. Un prezzo alla modernizzazione, in termini di crisi dei sistemi di protezione sociale, è sicuramente stato pagato, tuttavia fattori tipicamente nipponici, legati all'onore, al suicidio come elemento non negativo, all'etica del lavoro, pesano nel determinare un fenomeno duraturo negli ultimi decenni e legato ben più alle condizioni di vita materiale, al disagio economico, sociale e emotivo, che ad un rifiuto diffuso e radicato della modernità che, con buona pace di Mishima, sembra non essere più il principale problema della società giapponese contemporanea.

6 commenti:

Adespoto ha detto...

Ecco il promesso commento sul Giappone. Seguirà una riflessione simile sull'occidente, che non è scevro da problemi simili.

Unknown ha detto...

Ho sempre detto che i giapponesi in realtà sono alieni infiltrati sulla terra... tutto i me par fora che normali... :-/

Adespoto ha detto...

In effetti... Anche perchè c'è tutta la questione della gestione della sessualità che è un'altra grandiosa fonte di paradossi nipponici.
Ma questa è un'altra storia.

Adespoto ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Zimisce ha detto...

Bel post, caro. Penso anch'io che l'alienazione del Giappone non sia frutto della sola occidentalizzazione. E' la fusione di due sistemi non compatibili (economico occidentale con culturale giapponese) che ha portato ad un risultato insostenibile. L'etica della cultura giapponese funzionava in uno stato feudale, nell'era dell'industrializzazione diventa, appunto, suicida.

Adespoto ha detto...

Grazie caro, complimento apprezzato.

La società Giapponese ha conosciuto l'alienazione della struttura occidentale senza possedere gli anticorpi che gli europei si sono creati nel corso della storia.
Ma la mitopoiesi attorno al tema suicidale è primariamente ed originariamente nipponica.

Ovviamente anche l'occidente ha i suoi miti sulla violenza autoinflitta. Avremo modo di riparlarne.