domenica 29 giugno 2008

Il cruento ballo di san Vito

Nel campo dei merli l'imponente esercito del sultano Murad stava trionfando. La battaglia era quasi conclusa, l'esercito di Re Lazar era in rotta, lui morto o prigioniero, ed ovunque i cadaveri dei nobili cavalieri cristiani erano testimoni immobili della vittoria degli Osmani. Murad camminava tra i corpi morenti e moribondi, tra coloro che mormoravano le ultime parole prima che il sangue ribollisse nei loro corpi feriti e disidratati per il torrido caldo di fine giugno. I pochi superstiti si arrendevano alla magnanimità del sovrano.
La vittoria dovette sembrargli, in quegli istanti, totale.

Fino a che la corta lama estratta da un nobile Serbo, non pose fine alla gloriosa vita del Sultano Murad I.



Quel nobile serbo, non si sa di preciso se si fosse finto morto tra i cadaveri o traditore tra gli sconfitti, è per eccellenza l'eroe della mitologia medievale serba.
Miloš Obilić era un serbo, anzi, oggi si direbbe un montenegrino, giusto per comprendere la particolare difficoltà nel definire chiaramente i concetti nazionali balcanici; Milos è il leggendario cavaliere che uccise il sultano con l'inganno per essere dopo "fatto a pezzi" dai nemici Turchi, l'uomo che è l'altra faccia dell'eroismo medievale Serbo: da un lato il santo Re Lazar, catturato ed ucciso dopo aver consumato le proprie forze nello scontro con un superiore nemico, dall'altro Milos, l'eroe mitologico, figlio di una fata e di un mezzodemone, dotato di una straordinaria cavalcatura, di forza, coraggio ed ingegno, e legato al sovrano da un assoluto vincolo di fedeltà e di parentela.

Il 28 giugno del 1389 il regno di Serbia finiva la sua esistenza politicamente autonoma, ma quella sconfitta conclusa da un attentato riuscito rimane tuttora il riferimento culturale per eccellenza della nazione serba (e della chiesa Serbo-Ortodossa).

Il 28 giugno del 1914, più di mezzo millennio dopo, l'ultimo imperatore sedeva sul trono di Vienna e l'ultimo sultano ad Istambul.
"Chi ucciderà Franz Ferdinand sarà il nuovo Miloš Obilić"
Questa la frase che la Mano Nera e la Giovane Bosnia facevano circolare in tutta Belgrado. La nazione Serba che voleva portare sotto la sua sovranità la Bosnia e Sarajevo non poteva che considerare quella dell'Imperatore d'Austria una nuova invasione dei Balcani, intollerabile come la precedente.

Quel giorno, sotto il bel sole di Sarajevo, almeno sei congiurati si muovevano lungo il tratto di strada percorso dall'arciduca Francesco Ferdinando. Uno di loro, lanciando una granata fallì l'attentato, e solo per una serie di casualità Gavrilo Princip, un ragazzotto per nulla aitante, con profonde occhiaie, diciannove anni ed una pistola browning in tasca si trovò dinanzi l'auto del principe che inseriva la retromarcia. Grattando.
Due colpi. Uccisero la Bella Epoque.

Per capire la Serbia di oggi, bisogna ricordare che a Sarajevo, fino ad un decennio fa, era in piedi un monumento a Princip, dove spesso Bernardo Valli racconta vi fossero delle rose fresche nei giorni attorno al 28 di Giugno.
Nel 1989, a VI secoli di distanza dalla battaglia contro i turchi un ancora aitante Milosevic pronunciò in Kosovo Polije un famoso discorso sul ruolo della Serbia come salvatrice dell'Europa.

Oggi?
Nel Vidovdan, il giorno di san Vito, cioè il solito 28 Giugno, cioè ieri, i Serbi Kosovari hanno insediato a Mitrovica, città per eccellenza divisa tra etnia Serba e Albanese, il proprio Parlamento. 53 Membri, di un organismo che vuole essere la rappresentanza della repubblica Serba nella Regione autonoma del Kosovo.
E l'indipendenza della Maggioranza Albanese-Musulmana del Kosovo?
E le decisioni dell'ONU?
Ancora una volta i campi del Kosovo tornano al centro della pace in Europa. E con essi la questione irrisolta del rapporto tra la nazione Serba (cristiano ortodossa) e la penisola balcanica.
Se è vero infatti che questo organismo appare come illegittimo (almeno secondo i 47 Paesi che hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo) è vero che non si può che considerarlo il segno di una irrequietezza profonda, radicata, diffusa nel mondo Serbo, che merita di non essere archiviata solo con poche battute.

Una cosa è certa, nella violenta storia dei Balcani, sempre più legata a questioni etniche lontane nel tempo, sempre più scadenzata da paci fragili e militarizzate, ci sono ancora giorni di San Vito che possono fare la differenza tra la pace e la guerra.
Le pedine sono già posizionate, serve solo un nuovo atto incendiario.
Ignorare la polveriera o pensare che sia disinnescata con una semplice proclamazione di indipendenza non eviterà all'Europa e ai Balcani una nuova stagione di conflitti.


San Vito.
Il patrono dei Ballerini,
degli Epilettici
e anche dei Sordi.




martedì 24 giugno 2008

L'Uovo Molecolare

I fisici sono personaggi di solito noti per idee brillanti che però interessano prettamente il mondo dei telescopi, dei velivoli spaziali o quello delle centrali nucleari. In effetti tra la fisica e la cucina dovrebbe scorrere un fiume sostanzialmente invalicabile, almeno nell'immaginario collettivo.
Anche se il forno a microonde già dovrebbe spingerci a pensarla diversamente.
In fondo il Magnetron oltre che stare dentro il forno a generare microonde per cuocere i cibi è un valido componente dei radar.

Comunque in realtà fisici e chimici che si interessano al mondo culinario paiono essere numerosi, anche in libreria, come è dimostrato dal fiorire di testi e rubriche, specie sui giornali americani, tenute da rigorosi scienziati che spiegano i principi scientifici dietro l'uovo sodo.
Proprio questo il tema di un libro di Len Fisher, fisico australiano e autore de Il segreto dell'uovo sodo, edito da Longanesi.
Per non parlare di un forse ancor più noto Robert Wolke, per più di dieci anni al timone della rubrica di scienza culinaria del washington post (Food 101) in questo caso un chimico di ambiente universitario, famoso per la pubblicazione di quello che lui stesso definisce un vero e proprio "ciclo Eisteiniano" di libri su curiosità scientifiche spesso collegate al mondo della cucina, veri e propri successi editoriali.

Il padre dell'applicazione della fisica e delle scienze alla cucina, comunque, è probabilmente Nicholas Kurti, fisico che nel 1969 tenne una conferenza in diretta televisiva sull'argomento, mostrando come creare le meringhe sottovuoto, oltre ad altre amenità.


Nome specifico della applicazione della scienza alla innovazione della metodologia culinaria?
Gastronomia Molecolare, almeno secondo l'Atelier Internazionale della materia, che si svolge ad Erice, in Sicilia, presso il centro di studi "Ettore Maiorana". E sì, perchè in Italia ci sono esponenti noti di questa branca "stravagante" della ricerca, che sconfina, ovviamente, con l'hobby e l'ammiccamento al mondo dello spettacolo...

Italiano è il Professor Cassi, autore di Il gelato estemporaneo e altre invenzioni gastronomiche, libro edito da Sperling e Kupfer dove si parla di clamorose ed innovative soluzioni culinarie.

Ebbene, affascinato dal mondo della cucina molecolare...
Ho deciso nella mia totale (o pressocchè totale) inettitudine culinaria, di tentare a riprodurre almeno una delle ricette proposte.
Per attinenza con il classico piatto facile da preparare sono partito dall'omologo molecolare dell'uovo strapazzato, anche grazie alla facile reperibilità degli ingredienti necessari ed alla sicura (o quasi) riuscita del prodotto.

Si tratta della cosiddetta (dal Cassi) Cagliata d'uovo.

Il principio è semplice. Quando si cucina un uovo strapazzandolo in padella quello che si nota è il cambiamento di colore dello stesso... L'albume da trasparente diventa prima lattiginoso e poi biancastro e gelatinoso, per il processo di coagulazione innescato dal calore... Poi se si eccede diventa nerastro... Ma se lo scopo è quello di far coagulare le proteine dell'uovo non esiste solo il metodo termico... Anche molti solventi sono in grado di assolvere allo scopo. Tipo l'alcool.

L'Alcool etilico (non quello denaturato, ovviamente, quello alimentare, bottiglia di vetro e trasparente) può essere versato con lentezza su un uovo spiaccicato in padella, rimescolando per migliorare il contatto tra le sostanze si otterrà una sorta di uovo strapazzato per alcoolisti... Il che nella città di M. forse potrebbe anche metodologicamente funzionare...

In altre parti del mondo, invece, potrebbe essere necessario evitare di pasteggiare con uova alcooliche... Dunque diviene necessario separare l'alcool dall'uovo... Attraverso lavaggio con acqua e raffinato passino.
Dunque si asciuga il prodotto...
Otterremo una specie di ricottina (quelle di cassi vengono meglio di quella cosa squallida che ho prodotto io) che secondo i miei amici (quei pochi convinti ad assaggiare) non ha nessun sapore in particolare...
In ogni caso è una ricottina fatta tutta di uova fresche, commestibile, che può essere salata e distesa come una pasta, ed infine farcita...

Effetto collaterale?
Da quattro uova ne ho ricavato una ricottina davvero minuscola... Ma sono certo che è possibile migliorare...

Prossima tappa...
Il Gelato preparato con l'AZOTO LIQUIDO.
Cassi dice che "si può fare" (dove l'ho già sentita questa?) ed io gli credo.
Certo, il fatto che l'azoto liquido stia sui 190° sotto zero ed io debba tenere in mano una bacinella in cui un aitante assistente dovrebbe versare il magico e frigido elemento, il tutto mentre io mescolo avidamente circondato di fumo gelido, un po' di ansia potrebbe metterla.
Ma noi ci fidiamo dei fisici e degli ingegneri... In fondo non hanno mai sbagliato.

...

Quasi mai...


venerdì 20 giugno 2008

Campi da Tennis d'Epoca

Il 20 Giugno del 1789 il sovrano di Francia, luigi XVI, negava ai delegati del terzo stato la possibilità di riunirsi nella sala dell' Hôtel Menus-Plaisirs, credendo così di annullare la riunione dell'assemblea nazionale e poter decidere insieme alla nobiltà una adeguata linea di condotta.

I 600 delegati si riunirono nella sala della pallacorda per prestare giuramento.
La monarchia stava declinando, tutti i deputati, eccetto uno sottoscrissero...



"L'Assemblée Nationale... arrête que tous les membres de cette assemblée prêteront, à l'instant, serment solennel de ne jamais se séparer, et de se rassembler partout où les circonstances l'exigeront, jusqu'à ce que la constitution du royaume soit établie et affermie sur des fondements solides, et que ledit serment étant prêté, tous les membres et chacun d'eux en particulier confirmeront, par leur signature, cette résolution inébranlable."


martedì 17 giugno 2008

La Morte a Levante



Quella Giapponese è decisamente una terra particolare, e il popolo che vi abita è carico di fortissime ambivalenze.
Ha una continuità statuale soprendente, basti pensare che la dinastia attuale, quella del "blasone del crisantemo", è risalente, secondo gli annali del Giappone, al VII secolo a.C.
L'imperatore attuale è il 125° discendente del primo imperatore, Jimmu, a sua volta discendente della kami (dea) Amateratsu, simboleggiante il disco solare.
La continuità della simbologia imperiale è talmente tenace che il Giappone è stato l'unico, tra gli stati sconfitti nella IIGM, a non aver perso il proprio simbolo statuale. Nè il regno d'Italia, nè il reich Tedesco sono ancora esistenti. L'Impero Giapponese sì, e l'imperatore del tempo, Showa, ha continuato a regnare fino alla sua morte, nel 1989, ed il 29 Aprile si festeggia, ancora oggi, il suo compleanno come festa nazionale (lo Showa no hi).
Certo, nel 1946 il Tenno (sovrano celeste) ha pubblicamente (dovuto) sconfessare la propria natura divina, ed abrogare lo shinto di stato, ma la sua simbologia permane forte.

Eppure, nonostante le storiche chiusure, le tradizioni ossificate, il Giappone è lo stato orientale più rapidamente ed efficacemente occidentalizzatosi.
In giappone si utilizza un sillabario, vero e proprio (il katakana) di natura fonetica per trascrivere le parole occidentali, le quali arrivano a rappresentare più del 10% del vocabolario di uso corrente nipponico.
I Giapponesi si sono rapidamente occidentalizzati nei costumi, nei modelli culturali (libri, metodi di conto) hanno importato, abilmente modificando e divenendone maestri alcuni stilemi della comunicazione novecentesca, dal fumetto (Il manga, pur cronologicamente posteriore al comic americano ha assunto nella terra Nipponica una essenza culturale inedita in occidente) alle forme di comunicazione di massa, l'informatica, la musica, l'arte d'avanguardia.

Giappone è diventato simbolo di modernità, il che in un paese incredibilmente legato al tradizionalismo (si pensi che nello shinto gli avi di una determinata famiglia rientrano nei Kami) può essere un fattore stressogeno non indifferente, e coniugare questa modernità al tradizionalismo nei costumi, nei rapporti familiari e sociali è stata una sfida non perduta ma nemmeno vinta dalla società giapponese.
Il cinema di Ozu, maestro degli anni '50, mostra il contrasto tra la modernità e la tradizione che lacera la solida struttura familiare e nazionale giapponese; i lavori e soprattuto la drammatica uscita di scena di Mishima, nel 1970, con un seppuku rituale dopo una orazione contro la costituzione del '47 e per un ritorno al nazionalismo; sono solo due esempi.

Il suicidio dunque come drammatica risposta alla crisi di una società solidamente tradizionalista? La tanto praticata modernità nipponica è allora solo una facciata dietro la quale macera una confusione valoriale pronta a divorare la psiche del giapponese medio?

Il Giappone ha un numero di quasi 30 mila suicidi l'anno su 120 milioni di abitanti, il che equivale ad un tasso (2o suicidi su 100mila abitanti) doppio rispetto a quello statunitense, pari a quasi quattro volte quello italiano, al terzo posto tra i paesi OCSE dopo Corea del Sud ed Ungheria.
Eppure la massa di morti autoinflitte del paese del sol levante non è così fieramente discepola dell'atto di Mishima.



La maggiorparte delle morti per suicidio sono amplificazioni di problemi esistenti in qualsiasi società occidentale, iperbolizzate dalla presenza di un nucleo storico valoriale e esistenziale tipicamente nipponico.

I giapponesi hanno un termine "karoushi"per indicare la cosiddetta "morte da superlavoro". L'etica del lavoro giapponese (terra che non ha mai avuto Marx) contempla lavoro straordinario massacrante e spesso non retribuito che prosegue sistematicamente fino a tarda notte, ogni giorno, con un sistema spossante e distruttivo che finisce per spingere alcuni individui al suicidio. Fin dagli anni '80 esistono pene per le aziende colpevoli di trattamenti che spingano al suicidio da superlavoro i propri dipendenti.
Le ore di lavoro, in Giappone, sono circa 2000 annue, mentre per i lavoratori francesi poco più di 1500. Alla fine degli anni '90 le ferie giapponesi ammontavano a 9,4 giorni, quelle francesi 25 giorni.

Durante la crisi economica della fine degli anni '90 il tasso suicidario tornò ad aumentare, dopo una lieve flessione precedente. Padri di famiglia di 50 o 60 anni, appena licenziati, vivevano per un periodo una vita da "fantasmi", fingendo di continuare a lavorare, fino a suicidarsi, permettendo alle famiglie di incassare il premio dell'assicurazione sulla vita, che paga anche in caso di suicidio.

Il suicidio non è, infatti, distonico rispetto all'etica nipponica. Tutt'altro.
Circa il 20% della popolazione ha seriamente pensato al suicidio nel corso della propria vita, comprendendo ogni fascia socio-culturale. Il suicidio è tradizionalmente tollerato a livello culturale, e trova riferimenti importanti storico-mitologici (i 47 Ronin di Ako che compiono seppuku dopo aver vendicato il proprio padrone).
Il suicidio è dunque l'onorevole sacrificio del giusto dinanzi a superiori avversità, ma anche l'uscita onorevole dall'onta o dalla vergogna.
Quando Kobe, nella prefettura di Hyogo, venne colpita da un terremoto a metà degli anni novanta, diversi dirigenti di varie società si uccisero a catena per gli errori nella gestione dell'emergenza; compreso il vicesindaco che si diede fuoco un anno dopo.

E nel paese delle innovazioni tecnologiche, non poteva mancare anche il suicidio sul web. Il Giappone è stato apripista anche del fiorire dei blog, dei siti, dei mercati virtuali per aspiranti suicidi, dove scegliere luogo e modalità per il proprio trapasso ed addirittura organizzarsi per effettuarlo contemporaneamente.

Leggere l'alto numero di suicidi nella terra del sol levante solo come una risposta di disorientamento collettivo alla modernizzazione è dunque non risolutivo. Un prezzo alla modernizzazione, in termini di crisi dei sistemi di protezione sociale, è sicuramente stato pagato, tuttavia fattori tipicamente nipponici, legati all'onore, al suicidio come elemento non negativo, all'etica del lavoro, pesano nel determinare un fenomeno duraturo negli ultimi decenni e legato ben più alle condizioni di vita materiale, al disagio economico, sociale e emotivo, che ad un rifiuto diffuso e radicato della modernità che, con buona pace di Mishima, sembra non essere più il principale problema della società giapponese contemporanea.

lunedì 16 giugno 2008

intermezzo I

In effetti si aggiorna poco.
Colpa dei tirocini asfissianti.
Ma la mia mente è piena di sfolgoranti idee, quasi come quella dei ministri del governo.
Quindi tra poco arriveranno delle novità.
Ovviamente, non avendo a disposizione 2500 militari, per sorprendervi con effetti speciali dovrò pensare ad altro.

giovedì 12 giugno 2008

Erano in SEI

Mineo è un paesino sconosciuto dell'entroterra Catanese.
Quando ho avuto la fortuna di visitare la Sicilia credo di esserci passato "vicino", senza mai toccarlo... Non credo che quel borgo antico della sicilia sia stato conosciuto da molti, fino ad oggi.

Fino ad oggi.
Oggi laggiù sono morti SEI operai.
Morti per le esalazioni tossiche, mentre lavoravano, mentre ripulivano un depuratore, senza protezioni.
Tutti e SEI, uniti, come in un abbraccio, scrivono i giornali.
Io non voglio scrivere righe retoriche.
Perchè quando SEI persone vanno a lavorare e nessuno torna a casa non serve la retorica.

Serve sapere di chi sono le responsabilità.
Serve capire perchè possono succedere queste cose, in questo Paese.


mercoledì 11 giugno 2008

Gli Scissionisti


Oggi il manifesto ospita un trafiletto in cui A.O. dà le sue opinioni sul futuro della sinistra.
A.O. è stato, in un passato non recentissimo, un esponente politico di primissimo piano... Di quel partito che ora non c'è più, traghettandolo a divenire un altro partito... Che ora non c'è più.
O. lo ricorderete tutti perchè, nel lontano 1994, aveva una gioiosa macchina da guerra, che lui condusse, pare, con la perizia di un Cadorna.
Da quel dì in poi la vita politica di O. è più dietro le quinte.
Nel 2004 dà vita, con un noto ex-magistrato, ad una lista per le europee.
Un altra batosta: solo il 2,1%, meno di quanto raccolto dal solo uomo di montenegro di bisaccia in competizione solitaria.

Nel 2008 è entrato (che fortuna) nel progetto dell'arcobaleno. Non c'è bisogno nemmeno di rinvangare.
Oggi sul manifesto O. vaticina la creazione di una nuova formazione di sinistra, ispirata al socialismo europeo, e pronostica una scissione in Rifondazione ed una dentro il Partito Democratico. Tutti gli scissionisti a correre nelle braccia del nuovo, entusiasmante progetto indicato da O.

Successo assicurato.
Conoscete un rituale scaramantico non palesemente triviale o maschilista? E che sia Efficace.

martedì 10 giugno 2008

La solita Storia


Ieri sera mi sono reso conto che sono iniziati gli Europei di Calcio.
Una sorta di rituale minore rispetto al mondiale, ma sempre assai attrattivo per le genti italiche.

Sono entrato in un bar, ho visto che in tv mandavano la partita...
"Chi gioca?"
"Germania contro Polonia"
"Ah Dai... E come va?"

Il barista mi fa "Vince la germania, due a zero"

Sono uscito pensando che, in fondo, anche se in metafora, è sempre la solita storia.



sabato 7 giugno 2008

Parole a sProposito

Citare gli Ipse dixit, discettare in aforismi, estrapolare parole da pensieri o testi scritti in luoghi e tempi lontani è un azione che percorre lo stretto sentiero tra l'eleganza retorica e la fallacia.

Alcuni pensieri sono (quasi) universali, altri invece lo possono sembrare, ma in realtà sono ben radicati dentro il loro contesto, cosicchè svellerli significa privarli della ragione intrinseca alla prima espressione di quelle parole.
Questa è una grande distinzione in ambito religioso, tra la Lettera delle scritture e l'Interpretazione delle stesse, che fa sì che i vari cultori della ortodossia legata alla parola si possano consumare in citazioni bibliche per giustificare prassi e regole che appaiono inattuali quando non inattuabili, scambiando talvolta la metafora della parola per sostanza di regola.



Questo peccato ha attraversato anche la sinistra atea, che in alcuni tempi e situazioni si è piegata a eccessi dogmatici (quasi comici) secondo forse quella che Steiner definisce la nostalgia dell'assoluto. Ma questa è un'altra storia, che magari ci racconteremo in futuro.

Oggi invece mi permetto di fare qualche abuso di citazione.

L' 8 giugno del 793, fu una giornata davvero importante per la Britannia e l'Europa.

Lindisfarne è un'isoletta, detta "la santa" che ospitava, in quel tempo, il più importante monastero del nord della Britannia.
I monaci si sentivano sicuri nel loro nucleo primigenio, certi dello scudo della fede (o del timor di Dio) e della ruvidezza di costumi che gli evangelizzatori hanno sempre avuto.
Eppure verso mezzodì stava per iniziare lo "scontro di civiltà"...
Un numero imprecisato, ma noi ne immaginiamo non moltissime, di Drakkar, sorta di unità navali dal piccolo pescaggio, con la potenzialità dei barconi da sbarco dei film bellici, cariche di figuri imponenti, nuovi barbari che dopo i germani si riversavano sanguinari sulle rive della civiltà cristiana. Vichinghi.
Quel giorno ci fu una scorribanda, ed una strage di monaci e laici.

L'età Vichinga cominciava e sarebbe durata fino a tutto il 1066.
Per due secoli, chiunque nelle zone costiere d'europa, avrebbe dovuto tenere conto di questi uomini rozzi e barbari, ma progrediti militarmente. Il nord del mondo straccione ma riottoso, si affacciava prepotente alla finestre di legno cesellato della "storia conosciuta".

Oggi non ci importa vedere come questi uomini alti e barbuti, barbari nel senso più classico del termine, avrebbero cambiato l'europa trovando anche alleati nei popoli celti, piuttosto mandiamo uno sguardo alle reazioni di chi era rimasto, per così dire, offeso.

In quei giorni concitati il panico per la strage aggrovigliò le budella degli eruditi (che poi erano spesso monaci a loro volta) di tutto il mondo (cristianamente inteso)...
Nel dilagare dei commenti, un monaco tedesco, scrivendo le cronache sullo scuotimento morale che l'episodio aveva creato in tutta l'europa, riportò le parole che il profeta Geremia aveva usato, nel VI secolo a.C. per descrivere il pericolo che correva Gerusalemme, subito prima della grande deportazione.
Le parole erano completamente fuori contesto... Ma rendevano l'idea della ansiosa preoccupazione che serpeggiava nel vecchio mondo...

Oggi a 1215 anni di distanza anche io utilizzo, ovviamente a sproposito, le stesse parole.




Il Signore mi disse: "Dal Settentrione si rovescerà la sventura su tutti gli abitanti del paese."






Poesie nella città di M.

Non so se vi ho mai parlato della città di M.

La città di M. non sembra il tempio della poesia, a chi viene a vederla da fuori.
Forse perchè il suo centro storico non ha la grazia dei paesi costieri, con stretti vicoli ciechi e le case ammucchiate a ridosso sul mare, nei quali immaginare pirati ottomani comandati da un qualche severissimo Alì Pascià.
Forse perchè incontrandola in treno a stagliarsi sono le ciminiere e le gru poderose dei lotti industriali, non i pinnacoli e le cupole rivestiti di sottili lamine di rame dell'europa centrale.

Eppure la città di M. si trova in un luogo ristretto, schiacciata su un mare che non vede mai da un altopiano roccioso e policromatico che la costringe dal nord.
La città di M. è un antico mercato che si è fatto polo industriale. Gli Ottomani qui ci sono arrivati davvero, anche se non sembra possibile immaginarli.

Poi la città di M. è soprattutto una città divisa in due; c'è la sua parte operaia, ruvida, resistente, quella vestita di blu in primo di maggio, quella delle lotte dei decenni passati; c'è la sua parte piccolo borghese, arcigna, paesana, mercantilista, quella che ha i suoi interessi di bottega, che mastica acide parole sorseggiando caffè di mattina, quella che i tempi andati...

Che poi forse non è questo il modo più giusto per dividere questa città.
C'è anche la città di chi è autoctono con il bollino, e di quelli, ormai maggioranza, che vengono, in un modo o nell'altro, da fuori.
C'è anche la città di chi è semplicemente dall'una o dall'altra parte politica (con qualcuno nel mezzo, inutile dirlo).

C'è anche la città di quelli a cui piace che esista, nella piccola città di M. che non sembra il tempio della poesia a chi viene da fuori, un festival che si occupa di Poesia, musicata, parlata, scritta e spiegata.
E c'è ovviamente la città di chi aspetta soltanto la festa del vino, la settimana prossima.
Perchè bere, nella città di M. è sempre un buon viatico.
Mentre la Poesia, si sa, è SNOB ovunque, figuriamoci nella città di M.

E quindi eccoli lì, i microRas urbani che si accalcano sulla contabilità poetica, pronti a riesumare dalle polveri Dante e Petrarca, mentre si affossa il festival di poesia contemporanea, perchè l'investimento economico rischia di ridurre l'importanza della festa enologica suddetta...




Sarò ostinato, ma io continuo a saper fare entrambe le cose, bere vino ed ascoltare poesie.
Chiamatelo eclettismo.


martedì 3 giugno 2008

La Patria, la Repubblica e la Tirannide


Stai attento con l'amore per la Patria; pensa al motto "dulce et decorum est pro patria mori", ripetuto infinite volte e scritto sui frontoni degli edifici pubblici. Anche il fascismo parlava di Patria, diceva che bisogna difendere la patria, dare la vita per la patria. La parola patria si presta ad inganni da parte di coloro che detengono il potere. Quel motto, pensaci bene, è sì un motto repubblicano, ma chi sfrutta un motto di questo genere? Chi è che pronuncia questo motto? Sono spesso tiranni e tirannelli.

[Norberto Bobbio - Dialogo attorno alla Repubblica]



domenica 1 giugno 2008

Un'Idea Brillante (II)


C'è una città del nord-est abbastanza nota che ha un prosindaco (figura misteriosa non prevista dalla legge) abbastanza noto, che ha detto cose abbastanza note sugli immigrati nel passato più o meno recente.

Il politico in questione è quello che ben decise di togliere le panchine dal centro-città per evitare che ci si sedessero gli immigrati, lo ricordo per connotare al meglio il personaggio.
Oppure aveva invocato la "pulizia etnica" contro gli omosessuali (culattoni, nel suo forbito incedere verbale)...

Ebbene, qualche giorno fa, è partito di nuovo in uno sproloquio contro gli stranieri...
"Non vogliamo razze straniere"
ha detto il protostrator trevigiano, suscitando perplessità nei veterinari...
E sì, perchè questa volta, gli indegni immigrati cui si riferiva sono CANI (materialmente, non per leghismo verbale), indegni perchè figli di stirpi ululanti non patrie, e quindi non rispettose dell'equilibrio e dell'economia floreale della zona. Insomma ha chiesto un salto di qualità, un forte impegno per rilanciare una autarchia canina, un arianesimo canino...
Dicono che il Lupo Italiano vada bene... Ancora non chiarite invece le posizioni sul Pastore Sardo ed il Mastino Napoletano. Di Trevigiano, nonostante gli sforzi, pare sia pervenuto solo radicchio...

Purtroppo per il dinamico G. da recenti ricerche risulta che anche negli allevamenti trevigiani continuino ad essere ospitate razze straniere di ogni tipo, australiani, albionici, germanici...

La battaglia del prosindaco però è appena iniziata...